LE CASCATE DI SAN GIULIANO NEI MONTI CERITI

“”La forra, ventre materno, ci protegge dai venti del nord che marciano freddi in quota e noi percorriamo verdeggianti prati, che costeggiano il fosso, sulle cui sponde residui di un bel bosco, verdi piante riparali proiettano in alto le loro argentee fronde. Sugli alti fianchi rocce tufacee  fulvo rossicce, giocano a nascondino con contorte vegetazioni. Ma qui sotto già è partita la primavera a mare, con le sue primule ed altre precoci infiorescenze… asparagi asfodeli spini, mentre rosee gemme adornano prematuramente caldi alberi, pronte a  dare luce ai loro multicolori capolini. “”



“Ma chi le avrà create queste meravigliose cascate? Grazie cignale ed io che sono andata in Sud America per vedere qualcosa del genere, che esisteva a pochi chilometri da casa mia soltanto!”  Indiscrezioni di una Tiburziana “doc”.

Certo è piuttosto banale ringraziare me, perché queste meraviglie della natura con piacevolezza proposte al Gruppo, non le ho certo scoperte io, tanto meno create. Accetto volentieri la stima ed il riconoscimento, ma solo a titolo di buon conoscitore del territorio e della sua piccola grande storia!

Oggi escursione con scarsa affluenza, ma succede sempre così e guarda caso, proprio quando c’è qualcosa di straordinario da mostrare, tra le numerose meraviglie del nostro territorio, che il Gruppo si presenta decimato all’appuntamento.
Colpevole la “suina” od altre forme virali gastrointestinali lievi. Ma principalmente dolci e pietanze delle festività che aggravano le membra, gli organi interni del corpo e la mente, basta analizzare la dieta del periodo. I biscottini civitavecchiesi ad esempio, prodotti in questi giorni in quantità industriale, per notarne già il biglietto da visita: la superficie variegata di mandorle, nocchie, cioccolato fondente e canditi, per non parlare del burro, zucchero, vaniglia, liquori e farine pregiate dell’impasto. E bisogna essere proprio certosini a rifiutare queste delizie di Natale che, inzuppati o pasteggiati con un buon bicchierino di Sambuca locale, vermhout o marsala che esaltano e risvegliano magistralmente tutto il sapore degli ingredienti.

Giusta la mancanza di imprenditorialità civitavecchiese priva questi dolci di denominazione di origine controllata, come certamente meriterebbero!



L’escursione odierna si diparte dall’accogliente piazzetta del paese di Castel Giuliano. Un presepe di casupole (che ci regalerà più tardi una toccante scena allegorica) poste a corona di un elegante castelletto dei soliti principi “secolari”, baluardo su una strada che fu, congiungente Cerveteri con i pagi del bacino del lago di Bracciano. Di contro il maniero, un alto campanile ed una bella chiesa forse sovradimensionata per le modeste presenze della località, a contrastare le esuberanze del potere civile.

Cieli azzurrini, tinte adamantine, lieve vento di tramontana, un grado sullo zero, noi ben coperti scendiamo un breve tratto di strada asfaltata che ci porta a fiancheggiare un  minuscolo, ma inquinante depuratore, che va a scaricare le acque reflue nel simpatico fosso della Mola che, già nei suoi primi tratti, si presenta con simpatiche cascatelle tra nere rocce laviche.  Ma penetrati entro la forra, la temperatura si eleva e diviene gradevole anche grazie agli obliqui raggi caldi del sole.

Cominciamo così a bearci del volto gentile delle nostre assidue Tiburziane che, al primo caldo, cominciano a calare il loro improvvisato burka, ma quello soltanto, e mostrare quella effigie che la matura età ancora dispensa.

A mano a mano che discendiamo la valle il fosso si carica sempre più di portata ed energie, l’iniziale lento scrosciare delle sue acque, divenuto ormai romboante, lascia presagire l’aspetto esaltante delle innumerevoli cascate: di Castel Giuliano, del Moro, del Braccio di Mare, dell’Arenile, della Mola  e del Vaccinello. Ma poco prima di scendere il sentiero che porta ai piedi della cascata principale, imbocchiamo un viottolo sulla destra che ci porta direttamente su un bel ponte diruto privo di storia.

Ma non v’è strada evidente che porti sull’arcata o che da questo si diparta. Forse avrà servito la Via Cornelia, oggi scomparsa, che collegando Roma con Tarquinia attraverso i Monti della Tolfa, superava il fosso della Mola in un tratto le cui stabili fondamenta vennero  poste su  massive conformazioni laviche, a foggia di poliedri regolari di nero porfido.

Proprio sotto la sua struttura si forma la cascata grande di Castel Giuliano, la nostra deviazione, soltanto per godere il salto delle acque da tutti i lati.

Tornati sul sentiero, seguiamo dall’alto il Fosso della Mola per discendere una strada a tratti basolata artificialmente, a tratti  tufo o pietra lavica.

Tutto intorno il fosso, già da Castel Giuliano, è stato cinto con alta rete metallica,  invalicabile, a scongiurare malauguratamente che qualcuno vi cada dentro. Mentre ciò assicura Comune ed incauti avventurieri, ci limita o priva degli effetti scenografici della bellissima natura.

Ma lo spettacolo offerto è decisamente tetro, da confine, che sa tanto di occupazione militare! Off limits. Vano il sogno di trovare una recinzione in legno, meno invasiva, intonata all’ambiente, tramandataci da tempi remoti dai nostri padri. Questi tutori non sanno o fingono di non saperlo, che c’è sempre chi elude quel tipo di recinzione con tagli o sollevamenti.

Ma sceso il sentiero, raggiunto il fosso, terminano quelle protezioni decisamente antipatiche. Qui è il demanio che ha giurisdizione su alveo e sponde dei corsi d’acqua.

Seguo a ritroso la sponda sinistra del fosso per portare inopinatamente il Gruppo, sotto l’imponente cascata che oggi fiera è ricca, come era prevedibile, di eccezionale portata d’acqua.

L’acqua in caduta copre tutta la sua larga facciata, mentre una miriade di goccioline, vaporizzate, librandosi nell’aria, mostrano inusitati arcobaleni iridati. Lo straordinario getto d’acqua riverbera tutta la luce del sole che riceve e sovrespone le nostre foto, riducendo la profondità della scena. Ma ovunque si scattano foto, da ogni angolo plausibile e con i mezzi più impensabili, telefonini, digitali, compatte e non, tradizionali ed anche qualche dagherrotipo. Foto, foto a non finire ma, di dubbio effetto e risultato.

Come al solito invito i più indomiti a risalire la parete della cascata per portarci dietro, entro una grotta, ove per una strana legge fisica, non cade una goccia d’acqua. Ma oggi, il fascio d’acqua è impenetrabile, soltanto sporgendomi nel vuoto, riesco a fotografarne metà.

Discesi, seguiamo di nuovo il Fosso della Mola fino al punto di intersezione con il Fosso della Caldara dalla cui unione, nasce il torrente delle Ferriere. Passiamo il suggestivo rudere che, composto di più ambienti, serviva per raccogliere parte dei filoni del minerale ferroso che veniva strappato alle dure rocce laviche di porfido. La frantumazione della pietra per la riduzione del ferro, forse avveniva in loco. Le sabbie ferrose residue, nere, venivano trasportate sul lido avanti Ladispoli e S.Severa, dalla furia del torrente, per la delizia dei bagnanti, affetti da reumatismi od altre patologie, onde venne attribuito al litorale il nome di spiaggia della salute, per via del benefico effetto che queste producono, infuocate dal sole.

Ci portiamo ora sotto la Cascata del Moro. Per quanto meno ricca di portata d’acqua che le altre, la sua vista è molto rilassante. Il più delle persone, inconsciamente, siede sulla sabbia avanti il laghetto sottostante, restando incantata ad osservare il dolce salto che le acque compiono, piuttosto silenziosamente, e le rocce di contorno che inumidite splendono al sole di un argento.
 Breve pausa caffé e poi si riparte, costeggiando il Torrente, entro un argine sempre più ridotto dalla piena. Destinazione: Cascata del Braccio di Mare.

E’ questa una breve ma straripante cascata, che ha tracciato un solco profondo nella roccia di porfido. Le acque corrono per un breve tratto, contorto, di dieci o forse quindici metri, prima di scaricarsi nel lago sottostante, esteso per mezzo ettaro circa, ove i Ceretani, etruschi e quelli che sono loro succeduti, amavano andarci a nuotare dentro. Ma ora, onora il lago, soltanto un bell’esemplare di germano reale, che incurante della nostra presenza ed imperturbato continua a muoversi lentamente entro le torbide ed inquiete acque, alla ricerca di insetti. Ma già un maestoso airone cenerino, dalla straordinaria taglia, più timoroso, avvisato della nostra presenza dai nostri schiamazzi, si è allontanato. Ma è forse l’immancabile sospetto a preservare la specie, di nessun valore alimentare, ma di un bell’aspetto rappresentativo, per questo preda ambita dei cacciatori.

In quel paradiso terrestre, una volta circolavano migratori a centinaia. Oggi ne abbiamo avvistati soltanto due. Niente è stato risparmiato dai seguaci di Diana, e neppure i cartelli prescrittivi, che pure non mi risultano ancora commestibili. Ma talvolta accade, nel corso delle battute di caccia, che si spari anche al fruscio delle fronde e che venga colpito mortalmente qualcuno. Tanto c’è l’assicurazione che copre la responsabilità civile di chi uccide ma non risparmia i rimorsi di chi ha ancora un poco di coscienza.

Ma è tempo di rientro, lasciamo avanti, scenari più belli e suggestivi, la Cascata del Vaccinello, che conferisce il nome al fosso da cui si forma, e che si immette nel Torrente che torna a chiamarsi della Mola. Lasciamo indietro, ancora, altre due Cascate, peraltro modeste e una forra veramente impensabile, ove i guerrieri etruschi un dì correvano indisturbati, vigilavando l’immensa necropoli sovrastante. Ma è altresì opportuno rilevare che avanti, uno sbarramento massiccio, vieta il transito sulla strada doganale fiancheggiante il torrente, mentre appositi cartelli ribadiscono il divieto minacciando il trasgressore di poter cadere vittima della furia di tori allo stato brado. Ma più avanti c’è di peggio, una ben nota associazione di addestratori di cani da caccia vieta in modo assoluto il transito. Ma non c’è nessuno che fa rilevare a questi signori il loro incomprensibile comportamento, la loro straordinaria arroganza. E c’è da crederci, ho avuto il dispiacere di un “infortuito” incontro con alcuni di essi, forti del loro fucile inbracciato. Ma agitando un bastone con una mano ed un macete con l’altra, senza alcun apparente significato, li ho superati senza neanche degnarli di uno sguardo e rispetto, fissando il vuoto. Alle loro lievi e banali recriminazioni, ho risposto, con altrettanta aria da cretino.

Torniamo. Giusto il tempo di seguire un bel sentiero entro una modesta macchia mediterranea e ripercorrere lo strada del ritorno ma, giunti nel paesino di Castel Giuliano, ci accoglie una dolce musica natalizia. E’ stato qui allestito un piccolo presepe vivente, con personaggi bambini, per la nostra gioia e commozione.

 Gesù Bambino in carne ed ossa posto sopra una mangiatoia improvvisata, al freddo ed al gelo, con tanto di S.Giuseppe, Madonna ed asinello, pur essi bambini, mentre un  pastorello in compagnia di un agnelletto, scampato alla sbacchiatura natalizia, recava doni al figlio di Dio.

Vanì, 3 gennaio 2010

LE FOTO: ANTICHE E D'OGGI

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CASCATA DEL VACCINELLO
DIETRO LA CASCATA
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